Nella Silicon Valley sbarca la creatività “made in Piacenza”

Velocità, velocità, velocità. Non è il mantra dei futuristi, è l’imperativo categorico di chi lavora, ricerca, studia nella Silicon Valley (Usa), patria di tutte le innovazioni più spinte che s’irradiano per il pianeta. «Laggiù c’è il miglior posto al mondo dove puoi trovare assieme capitale, persone, mentoring, mercato» racconta Massimiliano Cravedi, formazione al Politecnico, Ceo di Xeo4, l’impresa piacentina con sede in via Asti 5, nata nel 2004, che opera nel campo della comunicazione “machine to machine” e realizza soluzioni per il telecontrollo e monitoraggio di impianti remoti. Un’impresa così innovativa - immaginava con largo anticipo l’uso del Cloud - da essere scelta da Aster (la società consortile dell’ Emilia Romagna per l’innovazione) con altre sette imprese in regione, per una missione Oltreoceano che includeva formazione, incontri con investitori, presentazioni a venture capitalist.

E cosa riporta in valigia, Cravedi?

«Un pensare in grande, un crescere
in fretta. Il condividere informazioni tra le persone è la vera unicità di questo posto. Tutti parlano con tutti, anche con i concorrenti, c’è la massima apertura per avere suggerimenti e consigli preziosi. Del resto, i primi grandi imprenditori iniziarono metodicamente a dare suggerimenti ai giovani imprenditori, creando un modello virtuoso di cultura e di crescita velocissima. Ne ho riportato anche la convinzione che, essendo stato aiutato quando cominciai, ora è il mio turno di aiutare gli altri. E poi ho imparato l’importanza, lo ripeto, di muoversi velocemente, di pensare super-velocemente e di non aver paura di sbagliare. Ecco: avere il coraggio di provarci sempre, alzando ogni giorno l’asticella dell’obiettivo, dedicandosi al lavoro con tutto il cuore, con tutte le energie, con tutta la passione e il tempo possibili».

Sembra molto impegnativo. Andiamo con ordine, quando nasce Xeo4?

«Nasce da un’idea imprenditoriale che voleva trasmettere innovazione tecnologica, per l’epoca, nel 2004, era molto avveniristica, pure troppo. Avevamo pensato di creare una soluzione di telecontrollo “Cloud” via Internet, non esisteva neppure Google driver. Non esistevano soluzioni “Cloud”, a pronunciare la parola si guardavano le nuvole, c’era un certo scetticismo, non si pensava a dati su una piattaforma».

Come vi siete strutturati?

«Oggi abbiamo una decina di collaboratori e mille e cinquecento impianti industriali costantemente monitorati, i nostri interlocutori sono aziende che hanno impianti
dislocati sul territorio nazionale o mondiale, clienti italiani con macchine installate all’estero. Il nostro prodotto si chiama “Rilheva”, è una soluzione Cloud per il telecontrollo ed il monitoraggio di simili impianti industriali. E’ un lavoro complesso, abbiamo dovuto creare una serie di moduli software. Nel corso di questi anni la nostra soluzione è cresciuta, i clienti sono aumentati e oggi come oggi dobbiamo decidere il “salto” da start up ad azienda più strutturata. Ci sono competitor sul mercato internazionale molto aggressivi, dobbiamo arrivare a una massa critica diversa per poter competere in futuro con i grandi player statunitensi».

La missione Usa vi è servita?

«Certo, si tratta di sviluppare una rete commerciale e uscire dai confini nazionali. Il territorio nazionale vive una congiuntura di mercato complicata, per usare un eufemismo, le grandi aziende italiane manifatturiere sono state vendute a multinazionali e in questi casi non c’è più possibilità di andare a parlare con un proprietario, con un management locale, e poi se vai a parlare, mettiamo, con Mitsubishi, con Fujitsu...prendono la bontà del prodotto lo fanno proprio ed eliminano
la struttura locale, i subfornitori, i consulenti».

A San Francisco avrete trovato i migliori al mondo.

«Siamo partiti chiedendoci se la nostra soluzione fosse adatta per poter scalare a scala globale. E il bando di Aster ci ha dato una bellissima opportunità dopo la selezione di valutatori venuti a Bologna da San Francisco. Sì, alla Silicon Valley ci sono i migliori al mondo, due o tre anni avanti a noi. Laggiù abbiamo concentrato in una settimana presentazioni e incontri di networking, l’obiettivo era poter tornare a casa con la validazione, la conferma della bontà della nostra soluzione».

Siamo nell’Internet of things,l’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti,come ve la siete cavata?

«Il mentor, assegnatomi tre settimane prima, ogni sera mi ha educato al modo di presentare abituale della Silicon Valley: arrivare al nocciolo subito, al massimo hai quattro minuti per presentare l’idea, il progetto e l’azienda. Tutto là funziona sulla base della relazione e della reputazione. Ti presento a qualcuno, ci metto la faccia e tu devi essere all’altezza. Pretendono un livello minimo che per noi è altissimo. Pochissime parole per arrivare a quello che loro chiamano value proposition, la proposta di valore riconosciuta».

Lei prima ha parlato di una comunicazione senza segreti, pare molto strano in questi campi

«La Silicon Valley è vincente proprio perché le persone parlano di tutto, delle proprie idee. Non ci sono segreti. Tutti discutono, espongono progetti futuri. E vista la pazzesca concentrazione di cervelli tra Berkley e Stanford si può immaginare il clima creativo, chiunque è pronto a dare suggerimenti e contributi per far sì che l’ecosistema cresca in maniera virtuosa».

Un piacentino, normalmente dotato di un discreto tasso di diffidenza, sarà a disagio

«Spezzo una lancia a favore dei piacentini , in un contesto di condivisione ci si adatta in meno di un giorno. La chiusura non è nel Dna delle persone, è frutto del contesto che ci condiziona. Là non puoi fare altrimenti, sono le regole del gioco, c’è desiderio di sapere, alla sera si va a mangiare o a prendere un aperitivo, ci si presenta, ci si scambiano i biglietti da visita, tutti vogliono sapere cosa fai, ti ascoltano e ti raccontano il loro punto di vista per permetterti di crescere più in fretta
facendo meno errori, è un’accelerazione pazzesca, in due settimane ho parlato con trecento persone e mi hanno dato molti contributi, questo è il valore che porto a casa».

Difetto della vita nella Silicon?

«Purtroppo sono molto focalizzati sul lavoro, la gente incontra migliaia di persone e se non sei rapido a lasciare la traccia nel tuo interlocutore sei fuori. Una percezione non positiva è che saremo sempre più controllati come persone fisiche, non solo nei comportamenti ma nel Dna, ci sono enormi investimenti sullo studio del Dna per offrire servizi alla persona, dalle malattie agli incontri di coppia con il partner che ha il Dna più vicino al tuo. E’ una condizione esasperata. Amazon sta sperimentando in California la consegna della spesa in casa quando non ci sei. Per contro, là puoi sperimentare senza aver paura di sbagliare, addirittura è più facile per un imprenditore ricevere quattrini se è già fallito una volta, pensano: ha sbagliato e sa cosa vuol dire fallire, ma sono regole che funzionano solo lì. La qualità della nostra vita non è paragonabile, ma non si può far finta che non esista quel mondo, quell’ecosistema. Può essere un driver molto forte per chi fa tecnologia e software su Internet. E’ lì che accadono le cose più interessanti».

IL BANDO BUSINESS MATCH PROGRAM
Sotto il sole della California si cercano contatti commerciali e partner strategici

L’impresa Xeo4 monitora il funzionamento di macchinari di qualsiasi natura. Lavora per le pubblic utility, aziende, per esempio, che gestiscono il ciclo integrato dell’acqua o su macchine di condizionamento industriale. Con Rilheva si collega l’utente, ovunque nel mondo egli sia, con le sue macchine in una catena di valore che si costruisce mano a mano che l’informazione transita. Questi dati coinvolgono la progettazione, la produzione, la vendita, il marketing, l’installatore, il manutentore, il distributore. I dati raccolti nei server di Xeo4 vengono resi disponibili agli utenti, che potranno trarre tutte le informazioni sulla macchina stessa. L’esperienza dell’ impresa piacentina si unisce a quella di altre sette imprese selezionate dalla Regione Emilia Romagna di cui tre di Ravenna, due di Modena, una di Bologna e una di Ferrara secondo il bando Aster “Business match program in Silicon Valley”. Diversi i campi di applicazione dei loro interessi: da chi realizza droni per uso professionale, a chi produce ozono per l’agricoltura, ci sono i sistemi di controllo a distanza di impianti, altri per marcatura e codifica del packaging, e appunto soluzioni tecnologiche per il trasferimento automatico delle informazioni tra macchine senza l’intervento umano. Ad oggi, e considerando le precedenti esperienze, sono 43 le start up emiliano romagnole che hanno potuto confrontarsi e formarsi in California.

 

tratto da Libertà del 8/1/2018